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QUI POSTULAZIONE # 27 ▪ Ricordando Padre Cesare Mencattini (1910-1941)

In Cina da sei anni, Padre Cesare Mencattini moriva il 12 luglio 1941 alle porte del villaggio di Qimen nella provincia dello Henan.

Un colpo di fucile lo colpì mortalmente al collo mentre in bicicletta si stava recando al mercato di quel villaggio. Doveva trattarvi l’acquisto di un appezzamento di terreno per la scuola femminile della sua missione di Pa-­li-ying.

A ucciderlo furono alcuni soldati cinesi sbandati che avevano visto in lui, e nei due confratelli che in moto lo stavano accompagnando, i nemici del loro paese. Era in corso il Secondo Conflitto mondiale, la Cina era stata invasa dalle truppe giapponesi e l’Italia era alleata del Paese del Sol levante. A riferire ciò uno dei due missionari, anch’essi rimasti feriti dalle fucilate, fatti prigionieri dagli aggressori e poi liberati grazie all’intervento di un ufficiale dell’esercito regolare cinese che li fece portare all’ospedale di

I funerali di Padre Cesare, che si tennero anche nella sua missione di Pa-­li-ying, «riuscirono un vero plebiscito di affetto, di venerazione e di rimpianto, non solo da parte dei cristiani, ma ancora da parte delle autorità civili e di quei pagani che lo avevano conosciuto».

 

Poco più di un anno prima egli era fortunatamente uscito indenne da un altro attentato alla sua vita e aveva scritto: «Qualche giorno fa, proprio il 25 aprile, mi capitò un grave incidente. Mentre in bicicletta tornavo da un giro di Missione, un proiettile mi sfiorò la faccia. Non feci in tempo a pensare a quel che accadeva, che un altro venne a sfiorarmi la testa. Un terzo, per poco, non colpì il mio servo che era dietro di me. Intanto un gruppo di soldatacci a cavallo m'inseguiva. Mi fermai e andai loro incontro, lasciando loro che mi circondassero. Franco, dissi loro buone parole, li lodai che tiravano bene, essi mi fecero dei complimenti che parlavo perfettamente il cinese, mi chiesero scusa e mi lasciarono anda­re. Erano comunisti. In due anni questa è la terza volta che faccio da bersaglio alle fucilate o dei soldati o dei briganti, mentre due volte mi sono trovato in posizioni bombardate dagli aeroplani o dal cannone dei giapponesi».

Dinanzi a lui era ancora aperta la strada della Testimonianza che aveva intrapreso tenendo fermo quanto scritto ai genitori appena giunto nella sua terra di Missione: «Qualunque cosa mi accadrà, sono nelle mani del Signore. Non si può essere più sicuri di così».

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