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QUI POSTULAZIONE #79 - Un compleanno particolare con Venticinquino

Padre Clemente Vismara quando il 6 settembre 1949 in Birmania rese grazie al Signore per i suoi cinquantadue anni di vita, venticinque dei quali trascorsi come missionario, da pochi mesi aveva vissuto un altro compleanno: quello del suo Sacerdozio.

Più esattamente aveva festeggiato Il 25° di mia divina investitura, come ricordato nel titolo che diede della relativa memoria pubblicata ne La perla… sono io. Memoria nella quale scrisse: «Perbacco, sembra ieri, eppure sono passati venticinque anni dacchè, sotto la cupola del Duomo di Milano, ricevetti la divina investitura! […]! Ed oggi, sotto un’altra cupola, alta due metri, tutta di paglia, dal cui soffitto annerito dal fumo pen­dono i trofei di caccia; corna di cervo, denti di cinghiale, ma­scelle di daino, code di scoiattolo, ecc... un panorama celeste poco... simpatico. Allora ero tutto a nuovo, ora puzzo di sel­vatico. […] Almeno potessi oggi celebrare la S. Messa!... Ma come si fa? Tutti pagani, ospite d’un pagano. Loro così superstiziosi! La celebrerò, più solenne, al cinquantesimo!».

La mattina di quel venticinquesimo anniversario del 26 maggio 1923 infatti la trascorse col capo e gli anziani di un villaggio, raggiunto il giorno prima dopo un lungo cammino, per impedire inutilmente le seconde nozze di una sua battezzata trentasettenne con un cinquantenne stregone cieco, entrambi vedovi, prima di intraprendere il viaggio di ritorno.

Marcia verso la sua residenza che fece con cinque orfani e il figlio di otto anni di quella vedova, perché gli usi locali proibivano che i figli della prima moglie seguissero la madre. Madre che però desistette dall’idea e raggiunse il missionario dopo aver ripudiato il nuovo marito.

«Ma il regalo l’ho avuto; quest’oggi ho guadagnato un ragazzetto di più, e lo chiamerò “Venticinquino”», annotò al riguardo Padre Vismara nella sua memoria, aggiungendo subito dopo quanto avrebbe fatto di li a poco: già sapeva di dover fare: «Primo affare sarà di fargli un bagno completo, poi lo vestirò, nutrirò ed educherò, perché come da tutti i ragazzi del mondo, a sapersi lavorare attorno, con passione, con costanza, con amore, se ne può ricavare un capolavoro. Sia che viva sia che muoia, la mia opera è immortale! Non omnis moriar».

Il nuovo arrivato sarebbe stato accolto tra i suoi orfanelli assieme ai quali avrebbe recitato «orazioni uguali a quelle che m’insegnò la mamma, ma che, se ella fosse qui, non capirebbe affatto e forse si meraviglierebbe come da bocca umana possono uscire suoni così diversi dall’itala favella».

 

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