QUI POSTULAZIONE #89 - Padre Fausto Tentorio: vivere ciò che richiede il Signore
Quando è stato ucciso il 17 ottobre 2011 nelle sue Filippine dove era giunto trentatré anni prima, Padre Fausto Tentorio era impegnato quotidianamente in favore dei Manobo. Circa 20.000 persone in via di estinzione che assisteva quotidianamente dal 1990, tutelandone i diritti come già fatto per le tribù indigene di Columbio ench’esse appartenenti alla Diocesi di Kidapawan sull’isola di Mindanao.
A cuore gli erano particolarmente i diritti sulle loro terre, fonte di lauti guadagni per i coloni provenienti dalle isole centrali delle Filippine. Quando giunse tra gli stessi Manobo, dei loro 75mila ettari di terra ancestrale nell’Arakan Valley gli speculatori ne avevano già acquistati 60mila e bramavano i restanti. Per far fronte alle loro angherie, nel 1992 assieme ai capi delle tribù locali fondò il gruppo dei Manobo Lumadnong Panaghiusa, grazie al quale si giunse al riconoscimento e alla tutela delle loro terre da parte dello stato.
Già oggetto di minacce e scampato ad altri attentati per il suo prodigarsi sociale, in quel giorno del 2011 venne colpito a morte da un sicario dopo aver celebrato la messa nella chiesa parrocchiale di Arakan. Avrebbe dovuto partecipare a un incontro di sacerdoti a Kidapawan, sede vescovile, distante 30 chilometri. Mentre stava salendo in auto, uno sconosciuto, giunto in moto e con la visiera del casco calata a celare il volto, gli esplose addosso dieci colpi di pistola prima di fuggire con lo stesso mezzo. A nulla valsero gli aiuti in ospedale distante una trentina di chilometri dove giunse privo di vita.
Di lui e di quanti erano stati uccisi per il loro importante impegno sociale – e tra questi anche i due padri del PIME Tullio Favali e Salvatore Carzedda nel 1985 e nel 1992 – Mons. Orlando Quevedo, vescovo emerito di Kidapawan, avrebbe detto alcuni giorni dopo il tragico evento: «La morte di P. Fausto è un puro assassinio. Io lo condanno totalmente come un crimine che grida al cielo. Se gli autori pensano che la sua uccisione zittirà sacerdoti, religiosi, fratelli e sorelle, e vescovi dal proclamare la giustizia del regno di Dio, si sbagliano. Il sangue dei martiri come p. Fausto sostiene il coraggio e l’audacia di coloro che si interessano alla pace e alla giustizia abbastanza da sacrificare loro stessi mentre percorrono la strada della non violenza attiva. Lancio un forte appello alle autorità affinché cerchino gli autori e li consegnino alla giustizia».
Al suo funerale, celebrato a una settimana dalla morte, parteciparono oltre 15.000 persone, per la maggior parte contadini e indigeni, a dimostrazione dell’affetto e della stima provato per colui che era stato anche responsabile diocesano per la pastorale indigena.
La salma di Padre Fausto oggi si trova nel cimitero di Balindog, a Kidapawan, dove riposa nella bara realizzata col legno del mogano che aveva piantato dietro la chiesa della missione: pianta pregiata come quelle che, grazie ai suoi insegnamenti, i tribali coltivano tutt’oggi per migliorare la loro condizione economica
Sulla tomba, accanto a quella del confratello Tullio Favali, l’epitaffio che vi aveva destinato nel testamento traendolo da Michea 6,8: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio». Poche parole a ricordo, e da far ciascuno tesoro, dell’insegnamento al quale aveva fatto sempre riferimento.

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