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QUI POSTULAZIONE #89 - Padre Fausto Tentorio: vivere ciò che richiede il Signore

Quando è stato ucciso il 17 ottobre 2011 nelle sue Filippine dove era giunto trentatré anni prima, Padre Fausto Tentorio era impegnato quotidianamente in favore dei Manobo. Circa 20.000 persone in via di estinzione che assisteva quotidianamente dal 1990, tutelandone i diritti come già fatto per le tribù indigene di Columbio ench’esse appartenenti alla Diocesi di Kidapawan sull’isola di Mindanao.

A cuore gli erano particolarmente i diritti sulle loro terre, fonte di lauti guadagni per i coloni provenienti dalle isole centrali delle Filippine. Quando giunse tra gli stessi Manobo, dei loro 75mila ettari di terra ancestrale nell’Arakan Valley gli speculatori ne avevano già acquistati 60mila e bramavano i restanti. Per far fronte alle loro angherie, nel 1992 assieme ai capi delle tribù locali fondò il gruppo dei Manobo Lumadnong Panaghiusa, grazie al quale si giunse al riconoscimento e alla tutela delle loro terre da parte dello stato.

Già oggetto di minacce e scampato ad altri attentati per il suo prodigarsi sociale, in quel giorno del 2011 venne colpito a morte da un sicario dopo aver celebrato la messa nella chiesa parrocchiale di Arakan. Avrebbe dovuto partecipare a un incontro di sacerdoti a Kidapawan, sede vescovile, distante 30 chilometri. Mentre stava salendo in auto, uno sconosciuto, giunto in moto e con la visiera del casco calata a celare il volto, gli esplose addosso dieci colpi di pistola prima di fuggire con lo stesso mezzo. A nulla valsero gli aiuti in ospedale distante una trentina di chilometri dove giunse privo di vita.

Di lui e di quanti erano stati uccisi per il loro importante impegno sociale – e tra questi anche i due padri del PIME Tullio Favali e Salvatore Carzedda nel 1985 e nel 1992 – Mons. Orlando Quevedo, vescovo emerito di Kidapawan, avrebbe detto alcuni giorni dopo il tragico evento: «La morte di P. Fausto è un puro assassinio. Io lo condanno totalmente come un crimine che grida al cielo. Se gli autori pensano che la sua uccisione zittirà sacerdoti, religiosi, fratelli e sorelle, e vescovi dal proclamare la giustizia del regno di Dio, si sbagliano. Il sangue dei martiri come p. Fausto sostiene il coraggio e l’audacia di coloro che si interessano alla pace e alla giustizia abbastanza da sacrificare loro stessi mentre percorrono la strada della non violenza attiva. Lancio un forte appello alle autorità affinché cerchino gli autori e li consegnino alla giustizia».

Al suo funerale, celebrato a una settimana dalla morte, parteciparono oltre 15.000 persone, per la maggior parte contadini e indigeni, a dimostrazione dell’affetto e della stima provato per colui che era stato anche responsabile diocesano per la pastorale indigena.

La salma di Padre Fausto oggi si trova nel cimitero di Balindog, a Kidapawan, dove riposa nella bara realizzata col legno del mogano che aveva piantato dietro la chiesa della missione: pianta pregiata come quelle che, grazie ai suoi insegnamenti, i tribali coltivano tutt’oggi per migliorare la loro condizione economica

Sulla tomba, accanto a quella del confratello Tullio Favali, l’epitaffio che vi aveva destinato nel testamento traendolo da Michea 6,8: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio». Poche parole a ricordo, e da far ciascuno tesoro, dell’insegnamento al quale aveva fatto sempre riferimento. 

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QUI POSTULAZIONE #88 - San Giovanni XXIII e il PIME

Il Pontificio Istituto Missioni Estere celebra oggi 11 ottobre la memoria liturgica di San Giovanni XXIII, il Papa Buono che lo ha avuto sempre nel suo cuore.

Un legame, quello di Angelo Roncalli, iniziato nel 1910 quando, da giovane sacerdote della diocesi di Bergamo, il suo vescovo lo inviò al Seminario delle Missioni Estere di Milano per consegnare il Crocifisso ai partenti. Sei anni dopo fu anche tra i primi ad iscriversi alla Unione Missionaria del Clero fondata da Padre Paolo Manna, poi superiore generale di quell’Istituto e del PIME dal 1926.

Patriarca di Venezia, così come lo è stato Mons. Angelo Ramazzotti, il futuro Pontefice accolse la richiesta del PIME per la traslazione delle spoglie del Fondatore dell’Istituto dalla città lagunare a Milano nel 1958. Qui tutt’oggi riposano nella Chiesa di San Francesco Saverio annessa alla Casa Generalizia dell’Istituto in Via Monte Rosa.

Giunto a destinazione dopo averle accompagnate lungo il viaggio,  così egli condivise con affetto quanto gli era accaduto in quel luogo quando vi consegnò i crocifissi: «Nelle conversazioni confidenti con alcuno degli anziani tornati dai campi di evangelizzazione, mi sentivo come preso da una edificazione e da una tenerezza ineffabile, che non era ancora a tal punto da accendere in me una vocazione missionaria, ma educava il mio spirito alla ammirazione per chi si sentiva chiamato e rispondeva correndo per quella via audace e misteriosa».

Desideroso di aiutare in prima persona le Missioni, nella sua diocesi animò la promozione missionaria e dal 1921, a Roma, su invito di Benedetto XV fu direttore dell’Opera della Propagazione della Fede in Italia

Nel 1963 questo particolare anelito lo ha portato a donare al PIME le cascine della sua famiglia a Sotto il Monte, in provincia di Bergamo, dove era nato il 25 novembre 1881.

Da allora esse sono divenute per l’Istituto centro di formazione e sensibilizzazione missionaria, oltre che occasione per tenere vivo il ricordo di Papa Roncalli grazie anche al museo con i suoi ricordi allestito all’interno.  

Casa natale di San Giovanni XXIII a Sotto il Monte

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QUI POSTULAZIONE #87 - Fare meditazione secondo la Venerabile Marovich

Nel cammino formativo del seminarista Carlo Salerio fondamentali sono stati gli scritti di Anna Maria Marovich, morta settantaduenne a Venezia, sua città natale, il 3 ottobre 1887.

Sono gli stessi documenti raccolti durante la sua Causa di Beatificazione e canonizzazione che nel 2007 ne ha riconosciuta la venerabilità. Venerabile come lo è questo stesso sacerdote del Seminario delle Missioni Estere di Milano e chi di esso ne fu il Fondatore. Quello stesso Mons. Ramazzotti che, Patriarca di Venezia, così si rivolse alla Marovich: «Se non accettate l’impresa, forse si risolverà in niente e ne avrete rimorso; se l’accettate ne verrà certo del bene. Che se in mezzo all’opera vi vedrete incapace di continuare si vedrà come aiutarvi e come sostituirvi; intanto accettare quello che pare volere di Dio». Era il suo spronarla a dar vita, come così fu nel 1864, a un istituto per l’assistenza alle giovani derelitte e alla comunità di religiose che se ne sarebbe presa cura: le Riparatrici del Cuore Sacratissimo di Gesù. Quella stessa congregazione che quattro anni dopo Marovich desiderò diventasse tutt’uno con le Suore della Riparazione fondate da Padre Carlo Salerio e tra le quali chiese di essere accolta come novizia.

Tra le molte lettere raccolte dalla Postulazione delle Suore della Riparazione per la Causa avviata nel 1926 vi è anche quella dove la Venerabile così parla della meditazione*.

 

Circa il libro più adattato per aiutarla a far con frutto la santa meditazione, non saprei precisamente indicarglielo, poiché ve ne sono molti, e tutti assai buoni. Succede nelle anime quello che veggiamo continuamente nei corpi, cioè, che lo stesso cibo non conviene indistintamente a tutti, perché se ad uno fa bene, all’altro aggrava lo stomaco, e mentre piace a questo, muove la nausea a quello. Quindi potrebbe darsi, che quello stesso libro che sembra buono a me, tale poi non fosse per lei, e viceversa: perciò su questo io la consiglio a scegliere in fra i migliori quello che più si adatta al suo spirito, e modo di orare. […]

Meditando ella può a suo piacere moltiplicare gli affetti, poiché questo aiuta ed aumenta spesso il fervore; ma non così la consiglierei di moltiplicare anche i proponimenti, perché questi, se sono molti, è pericolo di non eseguirli bene, laddove un solo può eseguirsi con più fedeltà, e più facilmente rimane memoria. Già ella saprà come S. Filippo Neri diceva, che l’affare di farsi santi non si può sbrigare in quattro giorni, e la perfezione si acquista gradatamente, con fatica, ed a poco a poco: quindi non bisogna mai ch’ella pretenda di potersi spogliare tutto ad un tratto de’ suoi difetti, ed arricchirsi di tutte le virtù. Questa non è la via ordinaria che Dio tiene colle anime, e noi dobbiamo camminare per quella ch’è più adattata alla nostra debolezza. Prenda dunque sempre di mira ne’ suoi propositi quel difetto che più la predomina, e quella virtù che più le abbisogna, e resti sempre costante in quello, finché conosca d’essersi emendata del suo difetto, o avanzata in quella virtù. Ella vedrà che in tal guisa, benché le sembri di non camminare molto, molto per altro si avanzerà, ed acquisterà così ad una, ad una tutte quelle virtù, che le sarebbe stato impossibile senza una grazia straordinaria acquistare tutte ad un tratto. Se la meditazione che prende a fare è divisa in più punti non si affanni per iscorrerli tutti. Si appigli a quello che più la muove, né lo lasci finché le somministra materia di fervore, o di compunzione. Il tempo che deve impiegar meditando io non saprei precisarlo, perché non so quanto gliene lascino libero le sue occupazioni; ma se ella ha il comodo di poter far l’orazione mentale due volte al dì, la consiglierei di prevalersene, ed in tal caso potrebbe fare la meditazione della mattina sulla Passione del buon Gesù, e l’altra della sera su qualche massima eterna, od altra cosa. É sempre bene poi leggere il sogetto della meditazione qualche ora prima d’incominciarla, affine di aver campo di preparare e disporre l’anima propria a quella verità ch’ella dee meditare. […] 

* M. Graziella Cauzzi, Ti ho amato nell’umiltà. Note biografiche della Serva di Dio Anna Maria Marovich, Istituto Suore della Riparazione, Milano, 1987, pp. 79-80.

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QUI POSTULAZIONE #86 - Santa Teresina e il Beato Paolo Manna per l’Ottobre Missionario

«Patrona speciale dei missionari, uomini e donne, esistenti nel mondo» Santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo lo è dal 14 dicembre 1927 assieme a San Francesco Saverio. Patrona delle missioni pur senza essere mai uscita dal monastero di clausura delle Carmelitane scalze di Lisieux in Francia. Senza aver neppure toccato una terra di missione, ma con quei luoghi sempre nel cuore così come i missionari che si affidavano alla sua preghiera e all’accompagnamento epistolare come fosse una loro sorella. Così è stato anche per Padre Adolphe Roulland, destinato alla Cina e che con lei corrispose da seminarista (l’ordinazione avvenne poco dopo la morte della suora), o per Maurice Bellière, sacerdote dei Padri Bianchi inviato a Nyassa, nell’attuale Malawi. È a lui che così si rivolse in una sua lettera: «Infatti, quando Gesù chiama un'anima a guidare, a salvare moltitudini di altre anime, è molto necessario che le faccia sperimentare le tentazioni e le prove della vita. Poiché vi ha concesso la grazia di uscire vittoriosi dalla lotta, spero, Padre, che il nostro dolce Gesù esaudirà i vostri grandi desideri. Gli chiedo che tu sia, non solo un buon missionario, ma un santo tutto ardente dell'amore di Dio e delle anime; Vi prego di ottenermi anche questo amore affinché io possa aiutarvi nel vostro lavoro apostolico. Come sapete, una carmelitana che non fosse apostola si allontanerebbe dallo scopo della sua vocazione e cesserebbe di essere figlia della Serafica Santa Teresa che ha voluto dare mille vite per salvare una sola anima».

«Vorrei essere missionaria – scrisse nel suo diario – non solamente pel corso di qualche anno, ma vorrei esserlo stata fino dalla creazione del mondo e continuare ad esser tale fino alla consumazione dei secoli». Un desiderio, questo, posto come esempio per tutti anche da Pio XII quando rivolgendosi ai responsabili della Pontificia Opera della Propagazione della Fede disse loro: «Ogni cristiano dovrebbe essere in qualche modo apostolo, e se è riservato ad un piccolo numero di persone il partire per paesi lontani, la Patrona delle Missioni, S. Teresa del Bambino Gesù ci insegna a fare della nostra vita cristiana di ogni giorno, un’offerta apostolica altamente meritoria ed efficace».

A far parte di «quel piccolo numero di persone» vi è stato anche il Beato Paolo Manna, Superiore Generale del PIME al momento della proclamazione a Patrona di Santa Teresina e autore delle riflessioni colle quali quest’anno ci è possibile vivere quotidianamente l’Ottobre missionario.

La raccolta delle citazioni allegata a questo numero di Qui Postulazione è stata redatta dalla Pontificia Unione Missionaria, le cui origini risalgono al 1916 per iniziativa dello stesso missionario. 

Allegato

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QUI POSTULAZIONE # 85 - ...e fu la Missione

Nell’anniversario della sua morte avvenuta il 29 settembre 1870, ricordiamo il Venerabile Carlo Salerio con questo importante documento conservato nell’Archivio Generale del P1ME. E la lettera che indirizzò a Padre Angelo Ramazzotti per essere accolto nel Seminario che stava avviando. L’Oblato Missionario di Rho, prossimo alla consacrazione episcopale, gli aveva dato gli esercizi spirituali in preparazione all’ordinazione del 25 maggio 1850.

Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore,

Da molti armi l’umile sottoscritta sospirava il giorno in cui fatto Sacerdote, avrebbe potuto dedicarsi alla salute delle anime, e principalmente di quelle che, più abbandonate non avevano chi loro annunciasse la Parola di salvezza. Ora vicino alla meta attendeva che la Providenza (sic) ne aprisse la via, come sembra volerlo per lo zelo della S. V. Illustrissima. Avendo però inteso che nel fratempo (sic) necessario per le disposizioni indispensabili ad un Collegio, la carità della S. V. Illustrissima è pronta ad accogliere nella Sua Casa in Saronno coloro che intendono dedicarsi a questo ministero; anche il sottoscritto, annunciando il desiderio, osa domandare di esservi ammesso come convittore, sottoponendosi a tutte quelle condizioni che le presenti e future circostanze fossero per esigere.

Perdoni la S.V. Illustrissima l’ardimento di tale domanda a chi da lungo tempo anela a questo passo. La speranza di essere esaudito va egualmente congiunta al desiderio. E nella medesima speranza che attendendo una cara parola di riscontro dalla S. V. Illustrissima appone quivi il recapito: cioè, al sottoscritto Milano, Corso di Porta Tosa N. 43.

Coll’animo pieno di fiducia e di gratitudine, colla più sensibile consolazione di baciarle umilmente con ossequio la mano, sono

Della Signoria Vostra Illustrissima e Reverendissima

24 maggio 1850

Umiliss.mo devotiss.mo Figlio

Carlo Salerio

 

Milano - Corso di Porta Tosa n. 43 (oggi Via Verziere)

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QUI POSTULAZIONE #84 - Valeriano Fraccaro, il Padre Fornaio

Quando fu ucciso il 28 settembre 1974, il sessantaquattrenne Padre Valeriano Fraccaro risiedeva da ventidue anni nella colonia inglese di Hong Kong. Missionario del Pime in Cina dal 1937, vi era giunto dopo l’espulsione da parte di Mao Tse Tung.

Allora si trovava a Sai Kung, nei Nuovi Territori dove si era già prodigato per i cinesi che avevano varcato il limitrofo confine del loro paese in cerca della libertà.

Lungo la costa stava realizzando un villaggio dove i profughi avrebbero vissuto più degnamente che non nelle loro barche, e questa iniziativa poté essere la ragione della sua morte. Il terreno era infatti molto appetibile ai locali imprenditori che per non vedersi sfumare alti profitti forse armarono la mano dell’omicida. Nessun denaro od oggetto venne infatti rubato nelle casa della missione dove lo uccisero.

Il suo corpo fu ritrovato da P. Francesco Frontini che assieme al P. Adelio Lambertoni faceva parte della comunità, entrambi assenti per impegni di ministero.  «Sono rientrato a mezzanotte – disse – e l’ho trovato in camera sua. Svestito, per terra, una pozza di sangue sotto la testa, la faccia coperta da un asciugamani. È stato ucciso con una mannaia, quella piccola accetta da macellaio che si trova in tutte le cucine cinesi, per tagliare le cotolette di maiale». La cucina era quella della residenza dei missionari, con la porta era sempre aperta per accogliere i bisognosi.

Stimato da tutti, come attestato anche dalle tremila persone di ogni fede che parteciparono alle sue esequie, fu sempre accanto ai più bisognosi.

«Era semplice come la colomba nell’ignorare il male, prudente come il serpente per realizzare il bene. Arrivava dove voleva e riusciva nel suo intento, senza urtare nessuno!», è stato detto di lui. E in questo suo fare molto contò l’esser stato figlio di un fornaio della sua natia Castelfranco Veneto.

Quanto appreso fin da piccolo gli permise di fare del pane uno strumento di dialogo oltre che di aiuto per quanti affamati, così come lo erano i bambini dei suoi villaggi. Impastato da lui stesso nel forno che si era costruito, lo distribuiva con quello stesso piacere che provava nel donare momenti di gioia con il panettone. Lo stesso che cercava di realizzare il più possibile secondo tradizione, a volte senza riuscirvi tanto da scrivere alla nipote: «Che ne pensi, eh, di tuo zio? Eppure Paola, dopotutto, però, tuo zio Valeriano, ha un cuore d’oro, anche se fa il panettone con la farina vecchia e invece dell’uvetta ci mette le formiche…». 

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QUI POSTULAZIONE #83 - Il settembre del Beato Mazzucconi

Si celebra oggi, 25 settembre, la memoria liturgica del Beato Giovanni Battista Mazzucconi, martire in Oceania.

La data è quella fissata nella Bolla pontificia per la beatificazione del 19 febbraio 1989 e identificata come dies natalis non conoscendosi il giorno esatto della sua morte, giustappunto quello della sua nascita al Cielo. Quest’ultimo, infatti, non fu citato dai testimoni alla sua uccisione a bordo della nave colla quale stava raggiungendo l’isola da Sydney. Lo si può solo ipotizzare tenendo presente che per percorrere quella rotta erano necessari come minimo venti giorni di navigazione e che la partenza del missionario dalla città australiana avvenne il 17 agosto 1855.

Al riguardo, dagli atti del processo di beatificazione risulta qualcosa di particolare. Nel giorno che sarebbe potuto essere quello del martirio, a sua madre parve di vederselo passare accanto, tanto da chiamarlo per nome. Il tutto lo appuntò, con tanto di data e ora, su un taccuino che non c’è più. Faceva parte dei documenti conservati da sua figlia, suora di Maria Bambina, andati distrutti durante i bombardamenti di Milano nel secondo conflitto mondiale.

Nativo di Rancio di Lecco nell’Arcidiocesi di Milano, la Chiesa ambrosiana commemora invece il Beato il 10 di settembre, mentre il suo nome è riportato nel Martyrologium Romanorum al giorno 7 dello stesso mese con queste parole: «In insula Woodlark Oceániae, beáti Ioánnis Baptistae Mazzucconi, presbýteri e Mediolanénsi Institúto pro missiónibus exteris et martyris, qui, post duos annos in ópere evangelizatiónis peráctos iam fébricus et ulcéribus exháustus, in ódium fidei secúris ictu occísus est» (Nell’isola di Woodlark, Oceania, il beato Giovanni Battista Mazzucconi, sacerdote dell’Istituto Missioni Estere di Milano e martire, che, dopo due anni di evangelizzazione, stremato dalla febbre e dalle piaghe, fu ucciso in odio alla fede con un colpo d’ascia).

Prima di quell’ultimo viaggio, quasi intravedendo ciò che Dio gli stava preparando, così scrisse a Don Giuseppe Marinoni, Direttore del suo Istituto Missionario: «Pure desiderai le mie isole: è là che mi è promessa la fatica e il premio, è là dove è quella Croce da cui Ella mi insegnò a non discendere giammai, quella Croce che è la regia via del Cielo. Ci raccomandi e ci faccia raccomandare alla Vergine Immacolata; se la sua assistenza è con noi, non v’è più nulla a temere: in tutti i giorni della nostra vita non avremo che a ripetere una sola preghiera, quella preghiera che mi parve sempre sì bella: “Signore aumentate i dolori, aumentate la pazienza. È un gran guadagno il patire». (…) Egli mi prepari di nuovo nel viaggio che incomincia domani, so una cosa sola, so che Egli è buono e mi ama immensamente; tutto il resto: la calma e la tempesta, il pericolo e la sicurezza, la vita e la morte non sono che espressioni mutabili e momentanee del caro Amore immutabile, eterno».           

Estratto dalla Bolla di Papa Giovanni Paolo II

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QUI POSTULAZIONE #82 - «Umiliandomi nella polvere mi affido intieramente a Dio»

Quando il Patriarca di Venezia Angelo Ramazzotti morì il 24 settembre 1861 mancavano tre giorni al concistoro indetto a Roma da Pio IX. Vi sarebbe stato creato cardinale assieme ad altri sette candidati alla porpora.

Allora si trovava a Gherla di Crespano del Grappa, in terra trevigiana a una novantina di chilometri dal palazzo patriarcale, per trascorrervi il periodo di riposo prescritto dai medici per far fronte ai problemi cardiaci. Avendo ceduto l’unica sua casa di villeggiatura a Mirano a quello stesso Comune per farne un ospedale militare, aveva accolto l’invito dei Conti Canal che in quella frazione avevano una villa. A offrirgli ospitalità nella comunità della vicina Possagno era stato anche Don Sebastiano Casara, Preposto delle Scuole di Carità, ma egli vi aveva rinunciato per non sconvolgerne la quotidianità colla sua presenza.

Di quella sua candidatura, della quale da tempo si parlava facendolo preoccupare non sentendosi degno per il cardinalato, egli ne ebbe certezza il 22 agosto dalla lettura della lettera del precedente giorno 10 con la quale il Card. Antonelli gli comunicava che tale era il desiderio di Pio IX.

Le sue condizioni di salute non erano delle migliori, tant’è che quello stesso giorno rispose di non essere in grado di partecipare alla celebrazione prevista «per la metà del prossimo mese di settembre», per la quale, tra l’altro, comunicò di trovarsi «assolutamente impotente a sostenere le spese che occorrono a farsi all’occasione di nomine Cardinalizie». Sentendo prossima la sua fine, aveva da poco disposto dei pochi beni posseduti in favore dei più bisognosi, delle persone a lui care, al Patriarcato e alle istituzioni assistenziali. E con riferimento a quanto desiderato dal Pontefice, in quella stessa lettera scrisse: «Conscio a me stesso della mia indegnità, dovrei veramente ritirarmi dall’accettare un tanto onore; ma il volere di S. Santità è per me un comando».

Allo stesso Pio IX si rivolse personalmente alcuni giorni dopo con questa lettera:

Beatissimo Padre!

Alla notizia che S. Eminenza il Cardinale Antonelli mi porse con sua graziosissima lettera 12 agosto che Vostra Santità è deter­minata di promuovermi alla dignità Cardinalizia nel Concistoro che ha stabilito di tenere dopo la metà del corrente mese di settembre, io rimasi sommamente confuso, conscio come sono a me stesso, di non avere alcun merito, perché mi venga impartito un tanto onore. E vera­mente, quando ogni volere e desiderio di Vostra Santità non fosse per me una legge, mi sentirei indotto dalla mia stessa coscienza a rinun­ziarvi. Ringrazio però Vostra Santità per una sì grande degnazione che vuole usata alla mia povera persona; e umiliandomi nella polvere mi affido intieramente a Dio, perché non permetta in me azione che torni a disonore di quell’Eminentissimo Senato, a cui Vostra Santi­tà intende di aggregarmi. Debbo poi rendere informata Vostra San­tità, che non essendo io ancora riavuto perfettamente da una grave malattia di cuore, colla quale piacque alla divina Bontà di visitarmi, non potrei venire personalmente a Roma per l’indicato Concistoro.

Permetta Vostra Santità che deponga nuovamente ai di Lei piedi l’omaggio della mia più profonda e inalterabile devozione alla persona della Santità Vostra e a codesta Apostolica Romana Sede, assicuran­do Vostra Santità che continui e fervidi sono i voti, che da me, dal mio Clero, dal mio buon popolo veneziano si innalzano al trono della Misericordia, perché accorci i giorni della prova per Vostra Santità e per la Chiesa, e accordi alle rare virtù del cuore della Santità Vostra il pieno trionfo della giustizia. Prostrato a Vostra Santità Le bacio il sacro piede, e implorando l’apostolica benedizione sopra di me e sopra la mia Diocesi mi protesto

Della Santità Vostra

Umiliss. e devotiss. Servo

Angelo Ramazzotti

Patriarca di Venezia.

 

Dopodiché «non fece più cenno del suo Cardinalato, né se ne diede altro pensiero», come appuntò il suo segretario e biografo Don Pietro Cagliaroli, che a lode del suo Patriarca aggiunse: «Se questo non è aver l’animo morto intieramente a sè stesso, io non saprei recarne altri esempii».

Già Sacerdote per il Clero di Milano, Oblato Missionario di Rho e Vescovo di Pavia prima di assumere la guida del Patriarcato, il Servo di Dio Angelo Ramazzotti è stato dichiarato Venerabile il 14 dicembre 2015. 

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QUI POSTULAZIONE #81 - Manna e il suo “Pontificio”

Il 15 settembre 2002 è stata la prima volta in cui si è celebrata la memoria liturgica di Paolo Manna, sacerdote del PIME beatificato il 4 novembre dell’anno precedente.

Il giorno scelto dall’allora Congregazione delle Cause dei Santi è quello della sua morte, avvenuta a Napoli nel 1952 subito dopo un’operazione chirurgica: aveva ottant’anni, sessantuno dei quali vissuti a servizio dell’Istituto.

Un anelito missionario, il suo, mai affievolito e maturato nei quattro anni trascorsi nell’Istituto da poco fondato da Don Francesco M. Jordan, quello degli attuali Salvatoriani, prima di entrare nel 1891 nel Seminario delle Missioni Estere di Milano. Dopo i sette anni trascorsi nella Birmania – dove era giunto nel 1895 a un anno dall’ordinazione sacerdotale e che dovette lasciare per motivi di salute – in Italia si dedicò infatti alle Missioni con lo studio, la direzione delle riviste dell’Istituto, la pubblicazione di libri ed anche la fondazione dell’Unione Missionaria del Clero.

Direttore del suo Istituto dal 1924, è stato lui a traghettarlo nel PIME, divenendone anche il primo Superiore Generale, quando Pio XI ne volle la creazione unendovi il Pontificio Seminario delle Missioni Estere dei SS. Pietro e Paolo di Roma.

Quel PIME alla cui guida è rimasto per otto anni e del quale ne ha così scritto con affetto ai suoi confratelli nella Lettera Circolare del 15 dicembre 1932: «Il nostro Istituto è fatto di uomini votati così a Dio ed agli interessi della Religione. Che ad un cenno dei superiori tutti indistintamente, sono pronti ad andare e vanno in qualsiasi regione, anche la più remota, inospitale e sconosciuta del mondo, e là, senza nulla chiedere o sperare, tutta la loro esistenza consumano a procurare la salvezza delle anime, che arricchiscono di tutti i tesori di cui N. S. Gesù Cristo li ha fatti depositari […] Grande onore per l’Istituto è il suo titolo di Pontificio. Questa nobile qualità mette l’Istituto e i suoi membri come in una più diretta ed intima unione con la S. Chiesa, di cui dobbiamo propagare il messaggio ed estendere le conquiste; ci pone nella più immediata dipendenza dalla Gerarchia, dalla quale riceviamo le direttive ed eseguiamo gli ordini, quando, giunti in missione, lavoriamo sul campo che ci viene affidato. Le direttive infatti del loro lavoro apostolico, i missionari dell’Istituto, le ricevono immediatamente dai Vescovi, e noi sappiamo come i Superiori regionali non possono occuparsi delle cose che riguardano direttamente il governo e l’amministrazione delle Diocesi, dei Vicariati o Prefetture apostoliche, che sono retti per tutto dai Superiori ecclesiastici.   Missionari nel senso più puro della parola, araldi e propagatori della religione di Gesù Cristo, respiriamo il suo spirito universale, e mai sacrifichiamo  gli interessi della nostra congregazione  quelli generali della Chiesa e delle anime […] L’Istituto non vive dunque in margine della Chiesa, ma si fonda e si perde in Essa per servirne la causa, per consumarsi senza alcuna terrena ricompensa per la gloria di Dio […] All’Istituto dunque, considerato come perfetta società di uomini apostolici, non manca nulla: quello che può ancora mancargli (quello che può mancare del resto anche al più venerando Ordine religioso) è quel tanto che forse manca a ciascuno dei suoi membri in perfezione e santità per vivere degnamente in esso.»  

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QUI POSTULAZIONE #80 - «Noi dobbiamo quasi nascere tutti i giorni»

Maria Mazzucconi, nata a Rancio di Lecco 31 gennaio 1830, è stata la più piccola delle tre sorelle suore del Beato Giovanni Battista, di quattro anni più grande di lei e martirizzato in Oceania nel settembre 1855 e ricordato il giorno dieci dello stesso mese nel calendario ambrosiano.

Chiamata familiarmente Marietta, il 12 febbraio 1851 venne accolta come postulante nel convento milanese delle Suore di Carità, poi dette di Maria Bambina.

Il mese seguente il fratello, sacerdote da meno di un anno, rispose a una sua lettera dandole indicazioni spirituali per proseguire rettamente nel cammino iniziato. Memore di quando in seminario iniziò il cammino verso il sacerdozio le scrisse: «Tu certamente in questi giorni avrai provato molti sen­timenti virtuosi, molto fervore; ma guardati bene dall’ingan­narti, il sentimento non è virtù, egli è soltanto l’invito ad acquistare la virtù; e all’invito di Dio bisogna rispondere con umiltà e con forza; proporre poche cose ma sante e quelle vo­lerle, volerle per sempre».

Allora Giovanni – come si firmò nella lettera – si trovava a Saronno nella casa messa a disposizione da Mons. Angelo Ramazzotti per avviarvi il Seminario delle Missioni Estere. Da sette mesi anche lui aveva iniziato un nuovo cammino: quello verso le Missioni e che si sarebbe concluso col suo martirio nel settembre 1855.

Anche per lui, pertanto, sarebbe stato di riferimento quanto le scrisse in quella lettera del 12 marzo: «Chi bene incomincia è alla metà dell’opera; […] parole che ci devono consolare e sollecitare molto consolare perché avendo cominciato bene abbiam già fatto qual­che cosa per il Signore; ci devono poi sollecitare perché esse ci dicono che però siamo solo, e al più, alla metà; dunque ci rimane ancora molta strada e guai se ci guardiamo indietro e credessimo di poter fermarci a riposare! Adesso l’aratro l’ab­biamo in mano noi, teniamolo stretto, e andiamo avanti; e se S. Agostino diceva: io muoio tutti i giorni, noi dobbiamo quasi nascere tutti i giorni e ciascun giorno metterci all’opera come se incominciassimo allora. Dall’alto della mia finestra io vedo, ogni mattina assai per tempo, il contadino incominciare la sua fatica, perché la terra da muovere è molta e dura, e le erbe cattive da levare sono tante. Pensa che abbiamo anche noi, dentro noi stessi, un campo che deve essere lavorato; che ad ogni momento fin sotto gli occhi del coltivatore, produce erbe inutili e spesso velenose. Dunque attenti e senza tanta compas­sione scaviamola questa terra, questo cuore cattivo e vedremo come sono già profonde le radici dell’amor proprio e del peccato».

Suor Vincenzina, questo il suo nome da religiosa, ricevette l’abito il 12 dicembre 1851 e morì all’età di settantotto anni, il 12 luglio 1908, quand’era Assistente Generale della sua Congregazione. Ne aveva trenta quando nel 1860 quattro consorelle raggiunsero il Bengala per collaborare con i missionari dell’Istituto di suo fratello.

Allegato

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