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QUI POSTULAZIONE #99 - Il Beato Clemente e le sue feste di Natale

Il Natale in Missione è festa di comunità oltre che di famiglia. Ce lo conferma in questo suo articolo il Beato Clemente Vismara, sacerdote del PIME che in Myanmar ha trascorso fino alla morte, nel 1988, sessantacinque dei suoi novantun anni di vita. L’articolo è stato pubblicato nel numero di dicembre 1973 della rivista del suo Istituto “Venga il tuo Regno”.

NATALE IN SACRESTIA

Non c’è da meravigliarsi se nelle grandi solennità della Chiesa, specie del Natale, il missionario che vive nei boschi …lontano dai suoi in un paese che qui gli vuol male senta un pochin di nostalgia e sogni ancor il ceppo di Natale, un oblio lene della faticosa vita e per distrarsi fa un po’ di baccano, vale a dir fa’ festa.

Due anni fa il Natale lo passammo qui in residenza. Tre giorni di festa. Invito a tutti i nostri villaggi, che sono ven­ticinque. Non ricordo quanta gente si radunò qui, so che era­no tanti, si dovette celebrare all'aperto perché nella chiesa non ce ne stava manco la metà. Naturalmente agli ospiti si deve provvedere ogni cosa e gratuitamente.

Si erano costruiti tre capannoni con paglia per dormire, ecc. ecc. Non c'è che dire: è una spesa ed una fatica.

L'anno scorso si sta­bilì di passare il Natale a Suppung, un villaggio a 10 Km. da qui; vi sono trentun famiglie, quasi tutte battezzate. Fu una Conquista del P. Manghisi. È il solo villaggio Shan del Distretto; hanno risaie e non son poveri, tant'è vero che per la festa spesero oltre tremila Kiats.

Furono invitati solo i villaggi attorno a Mongping; invitare i 19 villaggi di Tontà, a oltre 50 Km. da qui, sarebbe sta­to troppo. Per farvi fare una pallida idea del concorso di gente, vi devo dire che furono divorati tre bufali, un bue e due maiali. A me diedero una gallina perché la carne di bufalo è troppo dura per chi non ha denti…

Si stabilì di far Messa solenne cantata, sia alla notte che di giorno. Siccome la gente del villaggio non sa cantare, ai canto­ri provvidi io, cioè portai con me due suore, 63 ragazze e 47 ragazzi – tutti cantori! – ai quali naturalmente poi bisognava dar da mangiare!

Le ragazze dormirono in cantoria, pigiate come sardine e i ragazzi in sacrestia, per terra, con me. Per gli ospi­ti degli altri villaggi furono costruiti parecchi capannoni con tetto di paglia, e per terra ancora paglia per dormire.

Io, con la mia truppa, arrivai troppo presto nel villaggio: mi pare fossero solo le 14. Come occupare il tempo? Riposato un po' e deposte le coperte che ognuno aveva portato, dissi di fare la Via Crucis, poco importa se in tempo natalizio. Avevo pro­messo a chi mi regalava la Via Crucis che la prima volta che si sarebbe fatta con i quadri mandatimi, il merito sarebbe anda­to al donatore. Mi pare che il donatore sia stato P. Mauro, spero che il buon Dio accetti il nostro regalo e conservi sano, salvo e buo­no detto Padre e sappia che dacché mondo è mondo quella fu la prima volta che si fece simile esercizio di pietà fra quei boschi.

A sera di Natale si volle fare la processione con il Santis­simo. Fu zappettato un sentiero attorno alla chiesa. Per la Mes­sa io avevo portato tutto l'occorrente, ma per una processione mancava tutto. E tutto fu inventato. Il baldacchino c'era (un ombrellone bianco con asta di bambù portato dal maestro Nicola), il turibolo c'era, la navicella c’era e si pensò persino a tre bambine che buttavan fiori di bosco al mio passaggio. Insomma, dirvi tutto m'è impossibile. Fui contento.

Domani vado a celebrare il Natale a Pannolung; vengono con me tre uomini, due donne, due suore. Io andrò a casa lunedì, mentre le suore con le due donne si fermeranno in villag­gio ad insegnare il catechismo una settimana. Passeranno poi in altri due villaggi di recente cacciagione.

Auguro a tutti un Buon Natale!

Clemente Vismara, P.I.M.E.

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QUI POSTULAZIONE #98 - Servo di Dio Silvio Pasquali: sacerdote per la diocesi e la missione

Fondatore delle Suore Catechiste di Sant’Anna, alle quali si deve l’avvio della sua causa di beatificazione e canonizzazione, Silvio Pasquali il 17 dicembre 1887, allora ventitreenne. veniva ordinato sacerdote per la Diocesi di Cremona. Vi avrebbe esercitato il ministero fino all’entrata nel Seminario delle Missioni Estere di Milano nove anni più tardi.

Impegnato prima nella Parrocchia di Gerevolta, paesino della campagna cremonese, poi in quella di Sant’Agata nella stessa Cremona, fu «assiduo al confessionale, premurosissimo al letto degli infermi, zelantissimo soprattutto nella difficile cura della gioventù». Notevole fu anche il suo impegno in ambito sociale che lo portò a fondare la Società di Mutuo Soccorso San Giuseppe nella stessa Gerevolta, quindi, il 1° gennaio 1892 quando già si era trasferito, la Società di Mutua Carità tra i Sacerdoti della Diocesi di Cremona tutt’oggi attiva.

Nel 1897, a un anno dalla sua entrata in quello che sarebbe divenuto il PIME, Padre Silvio partì per l’India con destinazione Hyderabad. Aveva sempre voluto partire per le missioni, ma a trattenerlo era il doversi prendere cura dei genitori anziani. Poté farlo solo dopo la morte della mamma, quando affidò il padre ad una persona fidata che potesse assisterlo.

Operò in modo particolare tra gli ultimi della società come i paria e le giovani vedove, dedicandosi instancabilmente alla cura dei malati, al sostegno dei poveri, all’accoglienza di orfani e moribondi. Fu proprio per avere un valido aiuto in queste attività che nel 1914 diede il via alla congregazione religiosa: sei furono le prime novizie indiane preparate dalle Suore di Sant’Anna di Torino che da diversi anni aveva invitato a coadiuvarlo in missione. Appreso il Telegu, fu il primo a tradurre il Vangelo in questa lingua.

Oggi le sue spoglie mortali riposano in India a Pinakadami, prossima a Eluru dove morì e fu sepolto nel 1924. Vi giunsero in occasione della messa di ringraziamento del 13 ottobre 2019 a chiusura della “fase diocesana” della sua causa di beatificazione e canonizzazione col cui inizio, il 3 dicembre 2014, a Padre Silvio Pasquali venne riconosciuto il titolo di Servo di Dio.  

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QUI POSTULAZIONE #97 - Da dieci anni in cammino col Venerabile Ramazzotti

Il 14 dicembre 2015 il Sommo Pontefice ha riconosciuto ufficialmente che Mons. Angelo Ramazzotti ha seguito più da vicino l’esempio di Cristo con l’esercizio eroico delle virtù.

Facendo seguito a quanto espostogli quel giorno dal Cardinal Prefetto della Congregazione delle cause dei Santi, così dichiarò nel coevo relativo “decreto sulle virtù”: «Nel caso presente e per gli scopi prefissi, consta che il Servo di Dio Angelo Ramazzotti, Vescovo di Pavia e Patriarca di Venezia, Fondatore del Pontificio Istituto per le Missioni Estere, ha esercitato in grado eroico le virtù teologali della Fede, della Speranza e della Carità sia verso Dio che verso il prossimo; e ha esercitato allo stesso modo le virtù cardinali della Prudenza, della Giustizia, della Temperanza e della Fortezza e quelle ad esse annesse».

“In grado eroico” ovvero al di sopra del comune modo di operare degli altri uomini e riconoscibile dalla frequenza, dalla prontezza e dal carattere gioioso con cui ha esercitato quelle virtù ed ha affrontato i grandi sacrifici e gli ostacoli della vita, superandoli con una forza che non veniva da se stesso ma da Dio, mettendo la propria vita completamente nelle sue mani.

Da quel giorno Mons. Angelo Ramazzotti come «Venerabile» – proprio perché “degno di essere ammirato e imitato” come insito nel latino “venerabilis” – è esempio e aiuto sicuro nell’accogliere e seguire la proposta che Dio fa a tutti: «Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo» (Lv. 19,2).

Continuando nel venerarlo privatamente – così come concede dalla Chiesa per i Venerabili –, le sue esaudite intercessioni al Signore per dei miracoli potranno farlo dichiarare Beato e Santo dopo il verificarsi del primo e del secondo di essi.

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PREGHIERA

Grazie, Padre santo, per aver suscitato nel Venerabile Servo di Dio Angelo Ramazzotti un pastore profondamente radicato nel suo popolo, servo dei poveri e generosamente aperto al mondo.

Il tuo Spirito d'Amore lo ha anche guidato nella fondazione del primo istituto missionario italiano, rendendolo così padre e guida di tanti missionari.

Fa' che la Chiesa, proclamandolo beato, possa additarlo come sicuro modello di vita cristiana, sacerdotale e missionaria.

Ti chiedo umilmente di concedermi, tramite la sua intercessione, la grazia di (…).

Per Cristo nostro Signore.

Amen.

Con approvazione ecclesiastica

Allegato

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QUI POSTULAZIONE #96 - «Se si guardasse ai pericoli… allora addio lavoro missionario»

Settanta anni fa, l’undici dicembre 1955, veniva ucciso Padre Eliodoro Farronato, quarantatreenne missionario del PIME in Myanmar.

Il suo corpo venne ritrovato dopo alcuni giorni di ricerche nel greto di un torrente: solo i piedi apparivano dalle pietre che lo ricoprivano. Recava quattro colpi d’arma da fuoco sul petto e indosso aveva la tonaca lacerata con nelle tasche ancora del denaro perché non si trattò di rapina.

A ucciderlo, forse proprio perché sacerdote, furono i comunisti cinesi del Kuo-Min-Tang.

Gli mancavano allora solo 11 delle 1.600 miglia che aveva deciso di percorrere a cavallo da Kengtung venuto meno il più sicuro passaggio su un camion militare diretto alla sua missione di Mongyong. Lì, infatti, erano di stanza i militari che il governo aveva inviato per contrastare lungo il confine quel movimento reazionario.

Nel luogo di partenza sarebbe tornato dopo le festività per fare gli esercizi spirituali e, come concordato col suo vescovo che lo aveva convocato tre mesi prima, vi avrebbe dato alle stampe la traduzione in lingua Lahu e Akha dei vangeli, delle preghiere e dei canti che aveva completato durante quel breve soggiorno.

I confratelli e i militari lo avevano esortato a rinviare la partenza, ma lui, che voleva essere con la sua comunità per Natale, era partito ugualmente perché, come era solito dire: «Se si guardasse ai pericoli non si andrebbe più in questi paesi e allora addio lavoro missionario».

Il 14 dicembre le sue spoglie raggiunsero Mongyong e l’indomani, dopo gli onori militari e le preghiere rituali officiate dal catechista, iniziarono ad essere visitate dai fedeli in attesa che potessero riposare accanto a quelle del fratello Antonio, morto di febbre nera nel 1931. Anche lui del PIME, era deceduto tre anni prima della sua partenza per la Birmania, l’attuale Myanmar dove l’Istituto gli aveva permesso di continuarvi la missione.

Alcune sue reliquie, assieme ad altre di Padre Antonio, oggi sono custodite accanto alle spoglie dei genitori nel cimitero di Romano d’Ezzellino, paese del padovano con «Via Don Eliodoro Farronato» e una scuola paritaria che porta il nome di «Fratelli Missionari Farronato». 

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QUI POSTULAZIONE #95 - Ramazzotti e la Beatissima Vergine concepita senza peccato

«…coll’autorità del Nostro Signore Gesù Cristo, dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina la quale ritiene, che la Beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione fu per singolare grazia e privilegio dell’onnipotente Iddio, in vista dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, preservata immune da ogni macchia di colpa originale, è dottrina rivelata da Dio e quindi da credersi fermamente da tutti i fedeli.»

Mons. Angelo Ramazzotti, allora Vescovo di Pavia, così tradusse, nella sua versione in italiano per i destinatari della Lettera Pastorale del 4 febbraio 1855, il cuore della Inefabilis Deus di Pio IX del precedente 8 dicembre: la definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione.

Indirizzata «al Venerabile Clero e Diletto Popolo della sua Diocesi», suo scopo fu quello non solo di presentare ma rendere più agevole la lettura del testo pontificio ricco di riferimenti biblici, patristici e di dichiarazioni e disposizioni proprie della Chiesa di Roma.

Essa servì anche a ribadire l’invito di Pio IX ad «offrire alla Beatissima Vergine concepita senza peccato un tributo di profondissima confidenza nella di Lei potente intercessione». Tant’è che scrisse: «Per assecondare i santissimi inviti del Sommo Pontefice cominciamo dunque, o Venerabili Fratelli, o carissimi Figli, ad offrire alla Vergine SS. il tributo della nostra venerazione. Sia da noi benedetta, esaltata, glorificata questa seconda Madre dei viventi, questa Eva novella, innocente nella sua Concezione, come la prima quando sortì dalle mani del suo Creatore, la quale sua eredità non di colpa, ma una eredità tutta santa tramandò ai suoi figlj. Esaltiamo, glorifichiamo, veneriamo questa Madre Santa del Verbo, avanti alla quale la natura, venerando la Grazia che la aveva prevenuta, stette tremante non osando avanzarsi, come già le acque del Giordano si arrestarono finchè fu passata intatta e trionfante l’Arca del Signore.

Offriamo a questa Madre potentissima di Dio e Madre amorosissima nostra anche il tributo di una vivissima confidenza. Se i figlj ricordansi della Madre, ed esultano nel vederla sfavillare di nuova gloria in questi giorni di trionfo per Lei, come il cuore della Madre, di una tal Madre non sarà tutto per i suoi figlj? Nei pericoli, nelle angustie, nelle necessità, nei dubbj ricorriamo con ogni fiducia a questa Madre di misericordia e di grazie. O Peccatori, voi specialmente scongiuriamo a confidare nell’intercessione di Maria concepita senza peccato, perchè possiate più facilmente ritornare amorosi figlj a quel padre che abbiamo nei Cieli.»

Nella Pastorale, da leggersi «in ogni Parrocchia nella domenica susseguente al giorno in cui verrà ricevuta» riferì anche delle sue due iniziative in ringraziamento per il Dogma: la Confraternita del SS. ed Immacolato Cuor di Maria per la conversione dei peccatori, già istituita presso la Chiesa del Carmine e la Messa – del successivo 8 maggio in Cattedrale – «che verrà da noi pontificalmente celebrata in onore della di Lei Immacolata Concezione.» 

Allegato

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QUI POSTULAZIONE #94 - Padre Emilio Teruzzi: «Il martirio è una grazia che bisogna meritare!»

Quando a Hong Kong, nell’ottobre del 1942, il suo vescovo gli permise di prendersi nuovamente cura delle comunità cattoliche di Sai Kung e delle altre dell’omonimo distretto nei Nuovi Territori, Padre Emilio Teruzzi, cinquantenne missionario del PIME, già era pronto ad offrire la sua vita per esse, orfane dei loro due sacerdoti cinesi perché trucidati dalle truppe di occupazione giapponesi.

Quelle comunità le aveva viste crescere nella fede da quando, nel 1912, i fedeli di Sai Kung lo accolsero al suo arrivo nella colonia inglese: nove anni, sette dei quali come capo dell’omonimo distretto. Poi dovette lasciarle perché il nuovo vescovo di Hong Kong lo volle come aiuto nella città e in Curia dove fu anche Cancelliere ed Archivista.

Tornandovi sapeva che per loro avrebbe dovuto affrontare tanto l’arroganza degli invasori giapponesi presenti da quasi un anno; quanto il disprezzo degli yui-kit-dui, i guerriglieri comunisti cinesi, perché sacerdote e cittadino di quell’Italia che dal 27 settembre 1940 era divenuta alleata del Giappone.

Poté farlo fino alla mattina del 26 novembre di quel 1942, forse l’ultimo giorno della sua vita.

Fu allora che i guerriglieri gli impedirono di celebrare l’eucarestia in una abitazione di Tai Kung e subito lo portarono al largo della prospicente costa facendo presto scomparire alla vista la loro barca. Ad avvertirli della sua presenza fu un cristiano apostata che viveva a Sai Kung ai tempi dello stesso Padre Teruzzi vedendolo transitare per quello dove abitava.

Il suo corpo fu ritrovato una settimana dopo lungo le rive di un villaggio poco distante da Tai Kung. Col volto rovinato dalla prolungata permanenza in mare, venne riconosciuto grazie anche a un dente d’oro e ai «calzini portati dagli europei». Le gambe erano ancora strette dalla corda servita a farlo affondare con un masso staccatosi e il cranio recava diverse fratture dovute ai colpi di pietra coi quali era stato ucciso.

Sepolto a Sam Chung, il luogo del ritrovamento, ora riposa a Hong Kong nel cimitero di Happy Valley. Vi fu traslato il 15 febbraio 1947, dopo una celebrazione nella Cattedrale dell’isola con grande manifestazione di popolo, clero e istituti religiosi. Furono presenti anche i boy scout per i quali si era molto impegnato anche come assistente spirituale.

Sulla tomba nessun epitaffio, ma giusto posto avrebbero potuto trovarvi le parole dello stesso Padre Teruzzi che furono suo riferimento nella vita: «Il martirio è una grazia che bisogna meritare!». Anche perché, come scrisse un confratello, «le sue virtù, la sua costanza nella vocazione, la sua dedizione assoluta al bene delle anime gli meritarono la sua umile segreta aspirazione». 

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QUI POSTULAZIONE #93 - Nel pozzo della morte… la vita offerta per la Missione

Il pozzo è quello del villaggio cinese di Dingcun. La vita, invece, è quella di Antonio Barosi, Gerolamo Lazzaroni, Mario Zanardi e Bruno Zanella, tutti sacerdoti del PIME, che la persero in quel pozzo il 19 novembre 1941, quando la Cina già combatteva contro il Giappone.

Morirono non solo perché preti, per di più stranieri che vivevano nel teatro di guerra, ma anche per essere cittadini di quell’Italia che da quasi un anno era in guerra con la Cina. Il 27 settembre 1940 era infatti divenuta alleata non solo dei tedeschi ma anche dei giapponesi.

Ad ucciderli, infatti, furono i militari cinesi che in quella domenica di novembre giunsero al villaggio per incontrare i missionari che vi abitavano e vi trovarono anche Mons. Barosi. Da poco nominato Amministratore apostolico della Diocesi di Kaifeng ne stava visitando i villaggi, poi si sarebbe recato a Pechino per essere consacrato vescovo. Per questo motivo era in possesso di un salvacondotto rilasciatogli dai giapponesi e ciò aumentò l’odio nei confronti non solo suoi ma anche degli altri sacerdoti. Al villaggio era giunto il giorno precedente, da qualche ora aveva terminato di amministrare le cresime e al momento aveva appena terminato di pranzare coi confratelli.

Interrogati separatamente, furono poi torturati in diverse parti della residenza ed infine gettati nel pozzo.

Primo fu Padre Gerolamo quand’era ancora in vita, poi Mons. Barosi e Padre Zanardi, con orecchie e bocca riempite di carta, già feriti in chiesa dove furono rinvenute macchie di sangue. Da quanto successivamente appreso, essi erano stati strangolati colle mani. Ultimo fu Padre Zanella torturato versandogli in gola acqua bollente e petrolio. Quanti dall’esterno della residenza poterono seguire di nascosto al triste evento dissero di aver sentito Padre Zanella chiamare “zhujia” (vescovo) e anche “niang! niang!” (madre!). Aggiunsero inoltre che, quando i soldati spinsero padre Lazzaroni fuori della sacrestia, egli tentò di abbracciarsi all’albero che era vicino al pozzo della residenza, ma fu percosso brutalmente.

Il domestico di Mons. Barosi, che era rimasto con lui nell’abitazione, fu solo incappucciato, mentre il cuoco della missione, dalla cucina dove si era nascosto, assistette alle torture. Entrambi erano cinesi scampati alle violenze dei militari a riprova che l’odio di quest’ultimi era solo nei confronti degli italiani.

Sentimento, quello di chi li uccise, che fece scrivere al Superiore Generale del PIME appena giuntagli la notizia della morte dei sacerdoti: «L’essere stroncati barbaramente come nemici, sapere fraintesa l’opera nostra, finire questi pochi giorni con l’insulto e lo strazio di chi gode di veder soffrire la vittima, non può che addolorare profondamente me e tutti i confratelli vicini e lontani».

Mons. Barosi aveva quarant'anni ed era in Cina da sedici; Padre Zanardi, trentasettenne da pochi mesi, vi risiedeva invece da quattordici anni; Padre Zanella, trentaduenne, aveva cinque anni di Missione cinese alle spalle; Padre Lazzaroni, ventisettenne, in Cina aveva trascorso solo due anni. 

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QUI POSTULAZIONE #92 - Il Beato Paolo Manna, missionario da enciclica

Era il 4 novembre 2001 quando Padre Paolo Manna, membro del Pontificio Istituto Missioni Estere, è stato beatificato a Roma in Piazza San Pietro. Una beatificazione resa possibile grazie alla sua intercessione per la miracolosa guarigione di Padre Aldo Vinci, confratello nell’Istituto del quale lo stesso Manna è stato il primo Superiore Generale.

La carica l’assunse nel 1926, quando da quasi due anni era alla guida del Seminario delle Missioni Estere di Milano che lo aveva accolto nel diciannovenne nel 1891. Proveniva dalla Società Cattolica Istruttiva fondata dal Beato Francesco Jansen, gli attuali Padri Salvatoriani.

Inviato in Birmania nel 1895 vi rimase fino al 1906, quando per motivi di salute tornò definitivamente in Italia per mettersi a servizio dell’Istituto e tramite lo studio e l’insegnamento ha suscitato il movimento missionario dei nostri tempi. A lui si deve anche la fondazione della Unione Missionaria del Clero, approvata da Benedetto XV nel 1916, tutt’oggi attiva come Pontificia Unione Missionaria.

Definitosi “Missionario perduto” per aver dovuto lasciare quello che oggi è il Myanmar, egli ha fatto molto per le missioni, anche attraverso i suoi libri e le lettere circolari che periodicamente inviava ai confratelli. Diversi estratti di queste ultime, ad opera del suo successore, confluirono in “Virtù apostoliche”, pubblicato in occasione del cinquantesimo della sua ordinazione sacerdotale e tutt’oggi un classico della letteratura missionaria. Ventitré lettere tutte all’insegna de: «Il missionario non è niente se non impersona Gesù Cristo. [...] Solo il missionario che copia fedelmente Gesù Cristo in se stesso [...] può riprodurne l'immagine nelle anime degli altri», come citato nella Lettera n. 6 del 15 settembre 1926.

Gli insegnamenti di quelle Lettere sono stati di riferimento anche a Giovanni Paolo II che al punto 90 della sua enciclica “Redemptoris Missio” ha scritto: «L'universale vocazione alla santità è strettamente collegata all'universale chiamata alla missione: ogni fedele è chiamato alla santità e alla missione». Documento pontificio che nella nota n. 169 del punto 84 riporta anche la citazione tanto cara al Beato Manna morto ottantenne il 15 settembre 1952: «La parola d’ordine deve essere questa: Tutte le Chiese per la conversione di tutto il mondo». 

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QUI POSTULAZIONE #91 - 1° novembre, Festa di tutti gli Intercessori

«Perciò voglio sempre ringraziarli di essersi così compiaciuti di ottenere una tal grazia ad un indegno loro servo, qual sono io, lordo di tanti peccati. Ed ora spero egualmente che intercedano per ottenermi tutte le grazie per essere un buon missionario, che mi diano lume, e dopo una vita buona mi concedano una santa morte».

Era domenica 8 novembre 1880, festa dell’Ottava di Ognissanti, quando il diciasettenne Alberico Crescitelli così scrisse, ai genitori rimasti nella natia Altavilla Irpina, di coloro ai quali affidava il cammino missionario a lui caro. Quel giorno, infatti, varcava il cancello del Seminario Pontificio per le Missioni Estere dei Santi Pietro e Paolo a Roma, da dove sarebbe partito definitivamente per la Cina quasi otto anni più tardi. Vi avrebbe trovato «una santa morte» martiriale il 21 luglio 1900.

Ai Santi – ricordati il 1° novembre nel giorno scelto da Papa Gregorio III nell’ottavo secolo – il missionario sarebbe tornato a far riferimento nelle lettere inviate dalla Cina. Sua era la certezza di arricchire spiritualmente i destinatari, così come fatto anche con il fratello Luigi al quale scrisse il 30 dicembre 1890: «Le tribolazioni sono pur necessarie, e Dio ce le manda per il nostro bene. L’uomo nelle tribolazioni si umilia e ricorre a Dio, e nella prosperità se ne dimentica. I santi ritenevano gran fortuna essere tribolati e l’uomo forte è quello che sa sopportare le avversità».

Beatificato nel 1951 e canonizzato da Giovanni Paolo II il 1° ottobre 2000, anche Padre Alberico è ora nella schiera dei Santi.

Assieme a loro è riconosciuto e proclamato dalla Chiesa autentico seguace di Cristo, nel quale il Padre «ci dona un segno sicuro del suo amore», come recita il Prefazio II del Santi nel Messale Romano che così continua rivolgendosi al Signore: «Il loro grande esempio e la loro fraterna intercessione ci sostengono nel cammino della vita perché si compia in noi il tuo mistero di salvezza». 

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QUI POSTULAZIONE #90 - Il Beato Cremonesi e il Crocefisso del missionario

Riconosciuto l’odium fidei nei soldati birmani che l’uccisero a Donoku, Alfredo Cremonesi, sacerdote del PIME, è stato proclamato Beato il 19 ottobre 2019 nella Cattedrale di Crema.

Suo compagno di missione, in quella terra d’Asia oggi conosciuta come Myanmar, è stato il Crocefisso… «che sta sempre sul cuore di ogni martire e di ogni eroe», come scritto nel suo diario di viaggio. Lo aveva ricevuto il 5 ottobre 1925 dalle mani del Cardinale Eugenio Tosi, Arcivescovo di Milano, durante la Cerimonia della Partenza che si tenne nella Chiesa di San Francesco Saverio presso la milanese Casa Generalizia dell’Istituto tutt’oggi in Via Monte Rosa.

«Il Crocefisso d’oro sulla croce di legno! D’oro? Oh, no! I missionari hanno solo il cuore d’oro. Ma quel Crocefisso ha il colore e lo splen­dore dell’oro, che emerge sullo sfondo nero della croce di legno. Il Crocefisso è caratteristico dei missionari, sta sempre sul petto di ogni martire e di ogni eroe! Eccolo ora sul nostro petto. Il Cardinale l’ha benedetto, poi ce l’ha mostrato, alto, come il compagno indivisibile delle nostre fatiche, come il conforto, il sostegno, il vero amico nostro in vita e in morte.

Allora abbiamo capito la nostra dignità, la nostra Missione. La­sciare tutto generosamente, come Lui lasciò per gli uomini il Cielo, correre ovunque a far del bene, come Lui che passò e fece bene tutte le cose, salire il Calvario e morire per coloro che abbiamo tanto ama­to. Come non amare questo Crocefisso d’oro sulla croce nera, come non tremare quando il Cardinale ce l’ha messo al collo?»

(Dal Diario di viaggio di P. Alfredo Cremonesi)

Padre Cremonesi al tempo della partenza

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